Come lo stregone e l’alchimista, il cuoco, per realizzare le proprie magie è dipendente da tre elementi basilari: acqua – fuoco – aria.
Mescolare, di più, frullare, per produrre rapidamente l’introduzione di un elemento esterno: l’aria, che induca modificazioni profonde nella composizione e nel conseguente amalgamarsi degli elementi. Il gesto semplice si relaziona alla complessità, prodotti elementari ci portano a preparazioni complesse ed articolate.
La molteplicità degli ingredienti viene scelta di volta in volta, sviluppata dalla tradizione, quasi naturale o verificata immediatamente, esperita secondo intuizioni libere o per prove associate all’elaborazione di ingredienti conosciuti. Frullare è un’abitudine o una capacità. Anche senza lieviti l’essere umano è riuscito a catturare l’aria che lo circonda, ad intrappolarla tra gli altri ingredienti, per rendere le sue preparazioni ( o le sue specialità ) più leggere e più soffici, ben amalgamate e legate.
Muove il frullino, nella tenda delle popolazioni nomadi ( Gher ), la donna che per 24 ore frulla ininterrottamente l’Aerak o ilKoumiss; da madre in figlia il processo si ripete eguale, come se la steppa mongola dovesse ruotare dentro la pelle del montone, attorno al frullino. La sua costruzione è semplice,
come quella di quasi tutti i frullini artigianali di legno, la modificazione riguarda sempre la parte terminale, quella che sviluppa il processo chimico, che predispone le mutazioni fisiche.
La parte finale di questo utensile è a forma di stella, ritagliata da un quadrangolo levigato, affinché le sue estremità si adattino meglio alle pareti del recipiente che contiene il prodotto il quale, frullato, è tanto più omogeneo se la relazione tra contenitore e frullino è quasi perfetta,come se il contenitore fosse la parte estroflessa del frullino.
Dalle zangole di legno per il burro, nostrane o Nepalesi, alla ciotola in coccio sudamericana, per la preparazione della cioccolata, alla zuppa Mustaka egiziana, frullata nel contenitore di rame; impieghi diversi con risultati particolari che però utilizzano pratiche medesime. Frullare: come trasformare e produrre il nuovo attraverso colori, sapori, densità immaginate e reali. Gli ingredienti di un quotidiano percorso di colture, costumi e gusti si affollano insospettabilmente nel caleidoscopio di funzioni similari. Nel Nepal le donne infilano un frullino di 60 cm. in uno dei due anelli posti alle estremità di un prolungamento di legno, lungo circa 20 cm. , deliziosamente decorato, mentre legano l’altra parte alla propria vita: ondulando le anche e sfregando il palmo delle mani attorni al suo manico, rendono spumosa la preparazione del burro salato, elemento essenziale nella terra di Kadmandu.
In Messico, come spesso nei paesi del Centro e Sud America, le fogge più fantasiose, curate ed originali, caratterizzano i frullini di legno, i mulinelli, come vengono chiamati famigliarmente, utilizzati per mescolare latte e cacao, a volte acqua e farina di mais. A Capocabana diventano batidoras, da attivare con movimenti semipropiziatori per la preparazione dei biscotti in occasione della popolare festa dedicata alla vergine Maria.
La cerimonia del the, in Giappone, usa il frullino ricavato da una piccola canna di bambù; in altro modo rami secchi di betulla, ben puliti, legati alla base e tagliati alla giuste dimensione, sono utilizzati in Finlandia, per mescolare all’acqua delle saune, aromi ed unguenti.
Le punte solide ed affusolate di uno visp Norvegese ci aiutano a capirne l’uso: “ sbattere “ i pezzi di pesce e i legumi bolliti di una zuppa. Il frullino gigante delle campagne milanesi di inizio secolo, richiama le abitudini della resgiora ( reggitrice della casa, massaia ) che mescola contemporaneamente 20-30 uova, per preparare la frittata, cotta poi nel grande forno del cortile comune, per tutte le famiglie di questa comunità contadina.
Le prime fruste utilizzate in Italia nelle cucine e nelle pasticcerie, erano costituite da sottili rametti di legno legati a fascio, più tardi sostituiti da fili di ferro stagnato simili, nella loro forma, a quella di due forchette unite. Il frullino primitivo lascia, col passare del tempo, il suo posto, ma presiede spesso a forme più creative che vedono l’apparire di strumenti di alluminio, di ghisa, di filo di ferro e di acciaio inossidabile. Forme nuove si affidano alla meccanica della rotazione, le spirali, esperite attraverso soluzioni geniali, industriali o artigianali autarchiche, sono il frutto del design occasionale o della funzionalità concessa dalla piccola officina meccanica del rione. Si sviluppano frullini a rotazione verticale, fruste a pressione, ad ingranaggio con ruota e manopola laterale, che seguono stili e fogge proprie di una ricerca industriale agli albori dello sviluppo. Sono costituiti da una coppia di fruste, ognuna delle quali è composta da quattro lamelle metalliche piatte o da fili rotondi di acciaio, che ruotano su se stessi.
E’ tutto un mondo quello che si racconta intorno ai frullini ed alle fruste oggetti che, da funzione meccanica, si evolvono sino ad elevarsi a strumenti rituali, familiari e da desco.
Eugenio Medagliani
Foto frullini a manovella: n.1 frusta di nylon – n2 frusta di legno – n3 mulinello per latte e cacao – n.4 frusta a molla – n.5 frullino a manovella – n.6 frullino a pressione